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venerdì 31 ottobre 2008

Di grigio si vive...

Ecco il mio ultimo trip acquariofilo. Ormai non vedo l'ora di averne qualcuno.
È da un po' che cercavo una specie da accompagnare al mio gruppo di Xenotilapia nigrolabiata. Ho provato con varie Xenotilapia, ma le biparentali sono troppo aggressive così come anche i Cyprichromis. L'amico Michael Näf mi suggerisce una specie di Trematocara. I Trematocara sembrano essere specie tranquille che in natura frequentano ambienti d'acqua aperta ad elevate profondità del lago Tanganica. Michael ne ha introdotto un gruppo, probabilmente di Trematocara marginatum, in vasche di medie dimensioni (tra i 300 ed i 400 litri) insieme a Paracyprichromis nigripinnis e X. nigrolabiata. Siamo nel regno del puro grigio, di un pesce che si colora solo poco prima dello spegnimento delle luci, diciamo per circa 20 minuti al giorno, ma ormai noi ciclidofili del Tanganica sappiamo accontentarci di qualche pallido riflesso.


Trematocara marginatum. (C) Michael Näf


giovedì 30 ottobre 2008

Tutto da rifare?

All'attacco del primo articolo dello speciale di Hydrobiologia riguardante l'evoluzione nei laghi antichi, sono stato subito preso dalla sconforto (si tratta di una review che arriva al 2007). Molto di quello che sappiamo sull'evoluzione dei Ciclidi africani è probabilmente sbagliato; o se vogliamo restringere, molto di quello che sappiamo dei ciclidi del lago Tanganica. I ciclidi del lago Tanganica sono sicuramente i ciclidi africani che manifestano maggiore diversità; includono infatti sia incubatori orali che depositori su substrato, originano da diversi progenitori ed hanno sviluppato una impressionante serie di adattamenti. In base alle caratteristiche morfologiche, sono stati divisi in 12 tribù da Poll nel 1986 e in 16 da Takahashi nel 2003. Si potrebbe anche citare la classificazione di Patrick Tawil riportata ne "L'an Cichlidé" n 1 del 2001, ma per quanto ne sappia nessun ittiologo professionista l'ha mai presa in considerazione, presumibilmente per il fatto che è non stata pubblicata all'interno di una rivista scientifica. La lettura delle diverse tribù mi riserva già una piccola sorpresa. L'analisi molecolare sembra convalidare l'erezione dei Cyphotilapini avvenuta da parte di Tetsumi Takahashi nel 2003. Allora mi era sembrato esagerato erigere una nuova tribù solo perché gli individui sono caratterizzati da una bozza frontale.
La teoria "canonica" per l'evoluzione dei Ciclidi del lago Tanganica prevede che la radiazione primaria, lo sviluppo simultaneo delle diverse tribù, sia avvenuta circa 5-6 milioni di anni fa simultaneamente all'origine dell'ambiente di lago profondo. Questo data deriva da diversi studi del DNA mitocondriale uniti all'uso di un orologio molecolare stretto. L'orologio molecolare è basato sull'assunto che l'evoluzione sia un processo di divergenza e che il numero di mutazioni sia direttamente proporzionale al tempo intercorso dalla separazione tra le specie. Immaginiamo due popolazioni di una stessa specie che abitano località diverse; dal momento della separazione le due popolazioni vivranno una storia personale di mutazioni casuali, mutazioni che avvengono ad un ritmo relativamente costante. Due popolazioni separate da poco mostreranno bassa diversità di DNA, mentre due popolazioni separatesi molto tempo fa, saranno probabilmente molto diverse. In base alle diversità tra due sequenze è quindi possibile predire quanto tempo intercorra dalla separazione tra due specie. Gli orologi molecolari nascondono alcuni tranelli e per ovviare ai problemi si utilizzano orologi molecolari "rilassati" combinati a datazioni derivanti dal registro fossile. Il problema è che di fossili di ciclidi ce ne sono pochi (ne cito solo un paio tra i più antichi, il genere Mahengechromis di cui pensavo di parlare prima o poi e Proterocara argentina) e per la calibrazione dell'orologio si è utilizzata la data della frammentazione del subcontinente Gondwana, di quel fenomeno cioè che ha separato gli antenati dei ciclidi malgasci ed asiatici da quelli africani. Ebbene la nuova calibrazione sposta tutte le date di origine dei ciclidi del lago Tanganica.
La radiazione primaria si situerebbe ora tra i 20 ed i 35 milioni di anni fa, oltre addirittura il periodo temporale di formazione dei primi abbozzi di laghi che sarebbero poi confluiti nel Tanganica (si parla di 9 milioni di anni fa). L'anticipo dell'inizio della radiazione primaria pone la questione di quali fattori abbiano scatenato la diversificazione dei ciclidi. Forse a quel tempo esisteva un enorme lago da qualche parte nel Congo? Non esistono prove geologiche a sostegno dell'ipotesi.
In base ai nuovi calcoli la radiazione secondaria (5-6 milioni di anni fa) sarebbe avvenuta nei fiumi circostanti da cui i ciclidi si sarebbero poi diffusi nel lago emergente. A questo punto ogni tribù non sarebbe stata fin dall'inizio specializzata ad un certo tipo di habitat. Inoltre, cosa avrebbe eliminato totalmente i ciclidi antenati di quelli del lago Tanganica dalle aree circostanti al lago?
Un altro aspetto controverso della nuova datazione riguarda la presenza di ibridi naturali. È possibile che ciclidi derivanti da lignaggi separatisi oltre 20 milioni di anni fa possano incrociarsi ottenendo prole fertile?
Gli autori, da bravi scienziati, hanno anche sottoposto a controllo una seconda ipotesi di calibrazione basata sui fossili di ciclidi che tuttavia hanno rigettato. La radiazione primaria verrebbe retrodatata a 9-12 milioni di anni fa, al tempo in cui cioè stavano sorgendo i piccoli laghi che avrebbero in seguito ceduto il posto al Tanganica. La radiazione secondaria risalirebbe a 5-6 milioni di anni fa, quando la competizione avrebbe spinto alcune tribù (lamprologini ed ectodini soprattutto) a diversificarsi prima della formazione dell'ambiente di lago profondo. Anche qui rimane il dubbio di dove siano finiti tutti i ciclidi dei fiumi appartenenti ai lamprologini ed ectodini. Tutti estinti? Possibile? I dati molecolari sembrano invece suggerire che i lamprologini dei fiumi si siano diffusi dal lago Tanganica e non viceversa.
Che dire? Siamo ad punto di svolta. Occorrono nuovi dati e nuove interpretazioni. I punti
interessanti della review non sono tuttavia finiti qui. Si potrebbe parlare del numero di specie di ciclidi che viene fissato sui 3000. In tutti gli articoli precedenti si parlava di 2500. Un giorno o l'altro credo che tempesterò di mail un po' di persone e faccio loro contare quante sono le specie di ciclidi dei vari continenti (in realtà ho già iniziato a farlo). Si potrebbe anche parlare nuovamente di speciazione. Per il lago Tanganica non sembrano esistere prove di speciazione simpatrica. Io un paio di esempi interessanti a riguardo li ho (uno di questi me l'ha suggerito Heinz Büscher durante il Congresso AIC a Faenza). Ora però termino qui. Ho scongelato l'artemia e la voglio somministrare a breve. Ho anche qualche pesce da spostare e nuovi trip da inseguire.
Ophtalmotilapia nasuta "Ulwile", un ectodino del lago Tanganica.

mercoledì 22 ottobre 2008

Cool

Numero tematico di Hydrobiologia dedicato alla speciazione nei laghi antichi, i laghi esistenti da prima del Pleistocene: Tanganica, Baikal, Malawi, Biwa e Ohrid. Il volume raccoglie gli interventi più interessanti del quarto congresso dedicato al tema tenutosi a Berlino nel 2006. Non sono ancora riuscito a leggere molto, ma l'indice si presenta interessante.
Il tutto inizia con una nuova analisi molecolare dei Ciclidi del lago Tanganica e della loro strabiliante diversità. Un paio di articoli approfondiscono le preferenze nella scelta del partner nel genere Tropheus e di conseguenza il tema della selezione sessuale. Per rimanere nelle acque del lago Tanganica, vi sono altri due articoli legati al comportamento territoriale dei Lamprologini (Variabilichromis moori, una specie che non è certo in cima alla lista dei desideri del ciclidofilo medio) ed all'analisi di alcune comunità di ciclidi di aree rocciose. Un solo articolo, invece, è dedicato agli Utaka del lago Malawi. Gli Utaka si differenziano dagli Mbuna per essere meno legati al substrato. Nonostante questo alcune specie sviluppano piccole differenze tra popolazioni in assenza di barriere evidenti che possano impedire la migrazione. Questo potrebbe essere dovuto al comportamento riproduttivo di questi pesci: aggregazione stagionale alternata a fasi di libero spostamento. Nel volume non si parla tuttavia solo di ciclidi, ma c'è posto anche per i granchi del lago Tanganica e per le Telmatherina ed i gasteropodi del lago Matano in Sulawesi. Ampio spazio viene dato anche ai laghi Ohrid e Prespa dei Balcani con la loro fauna peculiare. Nei prossimi giorni mi leggo sicuramente qualcosa e magari ci rifletto sopra.
Ah, l'ho fatto. Armato di grande coraggio ho osato pescare la Xenotilapia nigrolabiata che incubava e l'ho spostata in una vasca da 120 litri. Non è stato facile, ma i Cyprichromis erano ossi molto più duri. Ora, come al solito aspetto e spero... Magari avrò la fortuna di vedere qualche piccolo che spunta tra le rocce. Domani faccio partire anche uno schiuditoio di Artemia. Mi auguro che porti bene.

domenica 19 ottobre 2008

Quasi ci siamo...

Sono passati una decina di giorni e la femmina di Xenotilapia nigrolabiata continua ad incubare. Sta per arrivare il momento di decidere cosa fare. Strippare o non strippare? Penso di avere strippato i piccoli solo una volta, circa vent'anni fa, e si trattava di Labeotropheus fuelleborni, un pesce di tutt'altro carattere rispetto alle Xeno. Forse è meglio che peschi la femmina e la metta in un una vaschetta da sola in modo che sputi i piccoli. Le eviterei un bel po' di stress, una delle prime cause di morte con questi ciclidi. Dai report che ho letto su Cichlid News la femmina si disinteressa dei piccoli dopo averli sputati. Mi pare invece che il grande Enzo Marino riporti di qualche cura parentale anche dopo (spero di ricordami correttamente, se mi leggi Enzo dammi un segno!).
Nel frattempo nella stessa vasca si stanno formano le coppie di Xenotilapia sp. "Sunflower Msamba", ce ne sono almeno due, forse anche tre, non sono ancora sicuro. Non voglio però ancora separarle data l'esperienza precedente con le Sunflower (provenivano da Kantalamba) dove la coppia rimastami si è rivelata molto litigiosa. Ho avuto ugualmente due covate, ma in un anno di allevamento è un po' poco. Ora riparto da un gruppo di 8, se non si affiatano bene non so che dire.
La coppia di Xenotilapia sp. "Sunflower Kantalamba" al termine dell'accoppiamento.

mercoledì 15 ottobre 2008

Dimmi dove vivi e ti dirò che uovo fai!


L'evoluzione parallela, lo sviluppo di risposte simili in ambienti simili da parte di organismi appartenenti a lignaggi diversi, è uno dei migliori esempi di evoluzione guidata dalla selezione naturale (per una interpretazione di parallelismo come vincolo storico e non come risposta funzionale si veda "La struttura della teoria dell'evoluzione" di Stephen J Gould che dedica all'argomento un capitolo di 150 pagine). Parliamo di ciclidi dei Grandi Laghi Africani e di comportamenti riproduttivi. Riferimento è l'articolo pubblicato nel numero di ottobre di PNAS: Duponchelle F., Paradis E., Ribbink A. J., Turner G. F. 2008. Parallel life history evolution in mouthbrooding cichlids from the African Great Lakes. PNAS, 105(40): 15475-15480 (qui l'abstract).
Oggetto dello studio sono gli incubatori orali dei tre Grandi Laghi Africani: Malawi, Tanganica e Vittoria (in rigorosissimo ordine alfabetico). Sono state trascurate le specie che depongono su substrato, un comportamento che nella forma di deposizione su substrato da parte di una coppia monogama è considerato essere lo stato primitivo della famiglia (primitivo nel senso di primo e non di di inferiore!). A sua volta la monogamia biparentale deriva probabilmente dalla cura della prole a carico esclusivo del maschio, una strategia riproduttiva tipica di una vasta schiera di pesci.
Qualunque sia il lago in questione, è chiaro che gli incubatori orali producono poche uova di grandi dimensioni rispetto ai ciclidi che utilizzano il substrato per la deposizione. Tra gli incubatori orali, i ciclidi che producono meno uova sono quelli pelagici. I ciclidi degli ambienti rocciosi e quelli bentonici (legati agli ambienti sabbiosi per esempio) mostrano un tasso di fecondità relativa (numero di uova rispetto alla mole corporea) più elevato che ovviamente si rispecchia sulla taglia delle uova: tante uova di piccole dimensioni (rispetto agli altri incubatori orali).
Le "solite" analisi molecolari, di cui risparmio i dettagli, sembrano dimostrare che i ciclidi ancestrali alle specie dei laghi Malawi e Tanganica erano ciclidi fluviali quasi sicuramente legati al substrato. È poco plausibile che in un fiume esistano specie pelagiche o specie tipiche degli ambienti rocciosi che in un corso d'acqua sono generalmente limitati alle zone di rapida. Altrettanto poco plausibile sembra essere il passaggio diretto di una specie dall'ambiente pelagico a quello roccioso, l'ambiente bentonico è il tramite obbligato per eventuali divagazioni evolutive.
Ancora una volta i ciclidi lo "fanno strano". Diversamente dalla maggior parte dei teleostei pelagici marini che producono enormi quantità di piccole uova, i ciclidi pelagici producono ridotte quantità di uova di grandi dimensioni. È l'ambiente di lago che costringe a questa soluzione? Non necessariamente; la prova del nove deriva dalla presenza di clupeidi pelagici (le sardine del Tanganica come Limnothrissa miodon e Stolothrissa tanganicae), di centropomidi (i diversi Lates del lago Tanganica) e di ciprinidi (Engraulicypris sardella del lago Malawi e Rastrineobola argentea del lago Vittoria) che vivono a stretto contatto con i ciclidi. Tutte specie che producono un elevato numero di uova di piccole dimensioni e che non mostrano alcuna cura parentale.
Quindi in tutti i laghi i ciclidi tendono ad incrementare le dimensioni delle uova e a diminuirne il numero. Perché? Forse conviene considerare anche le cure parentali. Tutti i ciclidi adottano cure parentali, anche le specie ad incubazione orale materna, ma con qualche distinguo. Le specie del lago Vittoria guardano la prole a lungo. Le specie degli habitat rocciosi dei laghi Malawi e Tanganica, invece, crescono giovani che sono indipendenti fin dal primo rilascio. Perché? La cura delle larve può favorire l'aumento del numero delle uova prodotte a discapito delle dimensioni, ma alte pressioni di predazione, abbondanza di rifugi, difficoltà a muoversi con un banco di piccoli in habitat ad alta concentrazione rocciosa, potrebbero diminuire il beneficio derivante dalla guardia della prole. A questo punto uova più grandi permetterebbero la schiusa di larve più grandi che sarebbero meno vulnerabili negli ambienti rocciosi. Poco o nulla è conosciuto, invece, delle caratteristiche riproduttive dei Ciclidi pelagici. Per esempio solo recentemente si è scoperto che Ramphochromis longiceps migra nelle lagune per rilasciare i giovanili. Perché? Nei ciclidi pelagici il basso numero di uova potrebbe essere allora un adattamento per ridurre il rischio della fame in ambienti a bassa produttività come l'acqua aperta.
Insomma, le questioni aperte sono molte ma possono essere riassunte nella domanda: perché i ciclidi delle rocce e dell'acqua aperta tendono, ognuno con le proprie differenze, a produrre poche uova di grandi dimensioni? L'unica certezza sta nel fatto che questa tendenza evolutiva potrebbe essere una risposta adattativa a determinati ambienti che nei Grandi Laghi Africani si è evoluta numerose volte in maniera del tutto indipendente.
Forse un'analisi più ampia avrebbe evidenziato ulteriori tendenze oppure avrebbe rifinito con maggiore dettaglio quelle già evidenziate. Sono stati trascurati specie e generi enigmatici. Uno per tutti il genere Benthochromis del Lago Tanganica le cui specie producono uova di ridotte dimensioni, troppo piccole rispetto alla grandezza dei pesci da non destare curiosità.
Segnalo come curiosità il sito di Ron Coleman (Cichlid Research) con il progetto "The Cichlid Egg Project" che mira a raccogliere dati sulle uova dei ciclidi e termino con l'identificazione della femmina che incuba all'inizio del post, si tratta di Cyprichromis microlepidotus "Bulu Point".


domenica 12 ottobre 2008

America!


Hypsophrys nicaraguensis


Crenicichla missioneira


Le Onde, 11 ottobre 2008

venerdì 10 ottobre 2008

Mamma mia


La pioggia di articoli scientifici di questa settimana mi ha distolto dall'osservazione degli acquari (a proposito ne ho visto uno con alcune considerazioni sulla evoluzione dell'incubazione orale nei ciclidi africani che mi sembra davvero intrigante). Avevo notato dei gran movimenti nella vasca della Xenotilapia nigrolabiata, ma chi immaginava che si sarebbero riprodotte proprio oggi. Saranno stati i cambi d'acqua, sarà stata la dieta più variata, sarà stata la presenza di larve di gamberetto da predare, o più semplicemente la carica derivante dal Congresso AIC che mi ha spinto a prendermi cura delle vasche in modo più interessato negli ultimi tempi, ma il risultato è una riproduzione che aspettavo da circa un anno dopo le prime insoddisfacenti. Ora speriamo che i pesci non si spaventino, che le uova siano state fecondate, che tutto fili liscio insomma.
Le vedete nella bocca della mammina?

mercoledì 8 ottobre 2008

Uno, nessuno, centomila... Discus!

"Confusione
confusione mi dispiace
se sei figlia della solita illusione
e se fai confusione
confusione
tu vorresti imbalsamare anche l'ultima e più piccola emozione"
Confusione, 1972, Battisti

In questi giorni sono stati pubblicati alcuni articoli veramente interessanti. Il più intrigante riguarda i discus e vorrebbe chiarire l'intricata situazione tassonomica del genere Symphysodon attraverso l'analisi del DNA mitocondriale: Molecular Phylogenetics and Evolution, Volume 49, Issue 1, October 2008, Patterns of diversification in the discus fishes (Symphysodon spp. Cichlidae) of the Amazon basin. Pages 32-43, Izeni Pires Farias, Tomas Hrbek. (qui l'abstract).
Ritenuto uno dei pesci più belli ed affascinanti dell'acquario d'acqua dolce, il discus riserva sorprese sia dal punto di vista del comportamento sia per il numero sorprendente di varianti di colore. In natura il discus è diffuso nelle aree più basse del bacino del Rio delle Amazzoni dove frequenta ogni tipo di acqua, nera, bianca e chiara purché libera da sedimenti. Come anticipato la situazione tassonomica è confusa e in continua evoluzione. Una delle classificazioni più diffuse in acquariofilia prevede due specie, S. discus e S. aequifasciatus, e cinque sottospecie: S. discus discus (discus di Heckel), S. discus willischwartzi, S. aequifasciatus haraldi (discus verde), S. aequifasciatus aequifasciatus (discus blu), S. aequifasciatus axelrodi (discus marrone). Altri autori, Robert Allgayer, ittiologo non professionista appartenente all'associazione francese ciclidofila, considerano esistere una sola specie con tre sottospecie, S. d. discus, S. d. aequifasciatus, S. d. willischwartzi. Altri ancora, tra cui il noto ittiologo Sven Kullander, considerano solo due due specie: S. discus e S. aequifasciatus. La situazione è tuttavia in continua evoluzione e nel 2006 viene descritta una nuova specie, tra gli autori lo stesso Kullander, sotto il nome di S. tarzoo che comprende i discus verdi con spot rossi diffusi nel bacino orientale del Rio delle Amazzoni. Nel 2007 viene pubblicato un articolo (Bleher, H., Stölting, K.N., Salzburger, W., Meyer, A., 2007. Revision of the genus Symphysodon Heckel, 1840 (Teleostei: Perciformes: Cichlidae) based on molecular and morphological characters. Aqua 12, 133–174) che mescola ulteriormente le carte e cerca di rimediare ad un errore formale compiuto nel libro “Bleher’s Discus” pubblicato nel 2006. Secondo questa revisione le specie valide sono tre: S. discus, S. aequifasciatus e S. haraldi.
Arriviamo ora al nuovo studio che analizza 334 esemplari di discus provenienti da ben 24 località diverse e che sembra dimostrare l'esistenza di una sola specie di discus. L'analisi mette in risalto che esistono tre gruppi ben distinti e monofiletici (derivanti dallo stesso antenato) corrispondenti al discus verde, a quello blu e ad un gruppo di discus diffuso nel bacino idrografico del Rio Xingu. Questi gruppi verrebbero affiancati ai discus marroni ed a S. discus e S. d. willischwartzi il cui lignaggio non è altrettanto ben definito.
Da tutto questo gli autori ricavano alcune interessanti ipotesi:
1. i diversi gruppi di discus sono mantenuti distinti da differenze nella chimica dell'acqua. Il discus marrone del basso corso del Rio delle Amazzoni e l'Heckel del Rio Negro potrebbero essersi isolati a causa delle differenti caratteristiche chimico-fisiche delle acque che impediscono il rimescolamento delle popolazioni. Gli autori si pongono anche la domanda se le diverse caratteristiche delle acque abbiano promosso la differenziazione delle popolazioni di discus.
2. I discus verdi sono rimasti isolati in seguito al sorgere delle Ande centrali che ha diviso il bacino amazzonico nella regione orientale ed occidentale.
3. I discus di Xingu, diffusi nel basso corso del Rio delle Amazzoni , potrebbero essere il risultato dell'isolamento causato dalla frammentazione del territorio in seguito alle variazioni del livello del Rio delle Amazzoni avvenute circa 800.000 anni fa.



Siamo di fronte ad un lavoro di notevole portata per l'elevato numero di individui analizzati e per le conclusioni tratte. L'unico punto debole potrebbe stare nella parte dove si tratta della speciazione e delle specie del gruppo. Gli autori ritengono che i discus siano costituiti da una sola specie in via di differenziamento. Per dimostrarlo discutono le varie definizioni di specie e le loro applicazioni al caso in oggetto. Secondo il concetto di specie filogenetica (il più piccolo raggruppamento di organismi che forma un insieme monofiletico per lignaggio), una specie è definita da un carattere diagnostico (apomorfico). Ebbene nei discus non sarebbe possibile trovare un carattere tale da poter distinguere i vari gruppi. Secondo il concetto di specie biologica (gruppo di popolazioni riproduttivamente separate tra loro), non è altrettanto possibile distinguere delle specie (riporto con le virgolette il testo dell'articolo) "dato che tutte le forme di Symphysodon si incrociano in cattività o in condizioni semi-naturali, e forme apparentemente ibride sono state ritrovate in natura". Anche secondo il concetto di specie di coesione non è possibile rintracciare più di una specie dato che tutte le forme ibridano quando si dà loro possibilità oppure sono in grado di scambiare di ambiente (sono ecologicamente equivalenti). Queste ultime affermazioni mi lasciano perplesso. Quasi tutti i ciclidi ibridano in acquario, anche specie molto distanti per parentela, qualunque acquariofilo lo sa. Occorrerebbero quindi esperimenti di scelta del partner, molti esperimenti tra l'altro, che non mi risulta siano mai stati eseguiti per poter affermare con certezza se stiamo parlando di discus di diverse specie. Gli autori non citano, inoltre, le fonti che riportano il ritrovamento di ibridi naturali e quando parlano di ibridi, parlano di "apparenti forme ibride". Per quanto riguarda il concetto di specie filogenetica non oso esprimermi più di tanto. Non sono un grande fan della cladistica. Il timore che hanno alcuni nell'applicare questo concetto è che si arrivi ad una proliferazione del numero di specie. Suona un po' beffardo che in questo caso non sia possibile distinguerne più di una. Per quanto riguarda invece l'ultimo concetto di specie riportato non vedo nulla di strano nel fatto che discus di varie popolazioni abbiano le stesse richieste ecologiche. In certi casi ciò che spinge la speciazione potrebbe non essere l'ecologia della specie, ricordate il post su visione e speciazione nel caso di Pundamilia pundamilia e P. nyererei?
Mi fermo qui. Tralascio la discussione delle premesse dell'articolo riguardanti la distribuzione delle diverse forme di discus. Forse meriterebbe un post apposito ed io devo riprendermi dai capogiri che mi hanno colto nel mettere in fila le varie ipotesi di classificazione. Mi attanaglia anche un dubbio: avrò dimenticato qualcuno?



lunedì 6 ottobre 2008

Alla ricerca del santo Graal: biodiversità in acquario


Ho sempre invidiato gli acquari marini. Basta soffermarsi cinque minuti per trovarvi qualcosa di nuovo. Una piccola stella marina, qualche minuscolo gamberetto, un riccio o due nascosti sotto una roccia. Guardo i miei acquari e mi prende lo sconforto. Un arredatore potrebbe definirli minimalisti. Una roccia di grandi dimensioni e sabbia come fondo, tanta sabbia. Ci sono i pesci, i miei amati ciclidi, ma... insomma non è lo stesso. Forse devo tornare all'acquario di piante, lì sì che si potevano scovare delle vere e proprie chicche. Una piccola Hydra, dei copepodi, degli Ostracodi che gironzolano senza apparente metà e, nei casi migliori, delle piccole spugne nate forse dai frammenti depositatisi sulla Vallisneria prelevata dal Lago di Garda.
È da un po' che ci penso, voglio aumentare la biodiversità delle mie vasche di Ciclidi dei Grandi Laghi africani. Voglio andare un po' più in là delle solite Melanoides. L'altro giorno mi sono lanciato. Ho acquistato 5 Neocaridina denticulata sinensis, la "Red Cherry", e 5 Palaemonetes sp. (sorry, ma Macrobrachium moorei del lago Tanganica non è ancora disponibile in commercio; Heinz Büscher ne ha allevato qualcuno che aveva pescato nel lago, ma mi ha riferito che il loro allevamento pone qualche problema ed ancora di più la loro riproduzione). I 10 si sono ambientati facilmente e, soprattutto, non sono stati mangiati, perlomeno non ancora. Qualcuno ha avuto anche le uova e ho visto agitarsi in seguito quelle che mi sembravano larvette. Non spero che si possa chiudere il ciclo in acquario, il filtro risucchia e tritura tutto senza pietà, ma vedere qualche larva in giro penso che sia possibile. Spero che le vedano anche i miei pesci. Sia quelle "tonte" delle Xenotilapia nigrolabiata che le più sveglie Xenotilapia sp. "Sunflower". Magari si risveglierà qualche istinto sopito che mi farà ancora una volta sognare di essere nel lago.
Sopra una Red Cherry nel mio acquario, la foto non è un gran che, ma mi sto applicando.

venerdì 3 ottobre 2008

La bellezza sta nell'occhio dell'osservatore?

I ciclidi conquistano la copertina di Nature (qui l'abstract e qui un commento) con un articolo sulla speciazione. Nel numero 455 di Ottobre si trova un lavoro a firma di Ole Seehausen e di molti altri sulla speciazione dei Ciclidi del lago Vittoria che potrebbe essere guidata dalla selezione sensoriale. La tesi non è nuova e si muove nel campo di quel "brutto anatroccolo" che è la speciazione simpatrica, la speciazione in assenza di barriere geografiche. La speciazione simpatrica potrebbe essere l'unica spiegazione valida per spiegare l'esistenza di oltre 500 specie di Ciclidi in un lago che una manciata di migliaia di anni fa era vuoto.
Seehausen studia da sempre i Ciclidi del lago Vittoria, cui tra l'altro ha anche dedicato un libro di taglio "acquariofilo" molto tosto (lo trovate qui), e in passato ha scoperto numerose coppie di specie simpatriche dalle identiche caratteristiche morfologiche (denti, scaglie, pattern di colore...) che sembrano differenziarsi unicamente per il colore della livrea dei maschi: rossa e blu. Che si tratti di specie diverse lo si capisce dagli esperimenti di scelta del partner in cui le femmine il più delle volte si accoppiano utilizzando il colore del maschio come stimolo e scegliendo quindi maschi della propria località di provenienza.
Nel lago Vittoria sono presenti ambienti diversi, nulla di strano per il lago tropicale più grande del mondo, che si differenziano anche per luminosità: negli habitat profondi predomina il rosso. Seehausen ha scoperto che nei ciclidi degli ambienti di profondità (si parla delle specie Pundamilia nyererei e P. pundamilia) predomina la variante di opsina (un pigmento responsabile della percezione della luce) sensibile al rosso. Nei ciclidi di superficie predomina la variante blu. Ebbene le femmine con certe varianti di colore di opsina si accoppierebbero preferibilmente con i maschi con la livrea del rispettivo colore, anche perché frequentare un certo tipo di ambiente aumenta le probabilità di incontrare il maschio del colore che meglio si "adatta" a quell'ambiente. Per speciare quindi occorrerebbe la concomitanza di tre fattori ereditabili: l'opsina di un certo colore, la livrea di quel colore e la preferenza per un certo tipo di ambiente (in pratica la profondità).
Il meccanismo di speciazione simpatrica proposto da Seehausen ha una certa logica e mi sembra avere ora un discreto vantaggio rispetto alle altre due proposte che vorrebbero spiegare l'elevato numero di specie di Ciclidi del lago Vittoria: la speciazione guidata dalla segregazione delle nicchie trofiche (teoria che potrebbe essere valida nel caso dei Ciclidi dei laghi vulcanici del Cameroon) e la speciazione allopatrica avvenuta per la separazione di popolazioni nei laghi satelliti e nelle lagune limitrofe al lago Vittoria che nei periodi di risalita del livello dei laghi si sarebbero ricongiunte ai propri progenitori senza più potersi accoppiare con loro.
Termino con una proposta provocatoria, ma non nuova. Vogliamo ricondurre tutti i tipi di speciazione in un unico caso dalle molteplici sfaccettature? Non guardiamo a barriere geografiche o no (in fondo anche la profondità potrebbe essere ritenuta tale alla pari di una catena montuosa o di un braccio di mare tra due isole). Guardiamo solo al flusso di geni tra popolazioni. Se lo scambio genico è ingente per far nascere delle specie occorre che la selezione naturale sia forte, parliamo quindi di speciazione simpatrica, nel caso sia ridotto la selezione naturale può essere allentata, siamo nei paraggi della speciazione allopatrica.
Vogliamo trovare una morale acquariofila al tutto. In acquario non saremo mai sicuri di che specie del lago Vittoria stiamo allevando. Non possiamo praticare esperimenti di scelta del partner dato che abbiamo pochi esemplari e sperimentare richiederebbe molto tempo. Possiamo solo fidarci di quanto dicono gli esportatori o gli allevatori.

giovedì 2 ottobre 2008

Xenotoca & C.

Apro l'ultimo numero di Le Scienze e trovo un articolo sulla "geometria nel cervello" dei vertebrati. Soggetto degli esperimenti non sono mammiferi oppure uccelli, ma umili pesci a volte ospiti delle vasche degli acquariofili: Xenotoca eiseni. Per anni ho allevato questa specie perché mi piacciono la forma sgraziata che assume con lo sviluppo e la livrea colorata. Ancora più piacevole è tuttavia il ricordo di un compagno di vasca delle Xenotoca, Ameca splendens.


Ameca splendens è un pesce grigio come solo alcuni ciclidi del lago Tanganica possono essere e raggiunge in acquario dimensioni notevoli, ma è un ottimo compagno dei Ciclidi centroamericani come Amatitlania nigrofasciatus. Ricordo una vasca di tanto tempo fa dell'amico Marco dove una coppia di questi Ciclidi con prole spadroneggiava ed alcune Ameca splendens di rispettabile taglia appena ritirate dai soliti ricoveri estivi (tini da vendemmia stabulati sul balcone) erano impegnate a mostrare tutto il loro repertorio di parate di minaccia nei loro confronti. I ciclidi erano abbastanza impressionati dal fatto.

Torniamo alle Xenotoca, la domanda posta nella rivista è: sanno orientarsi in un ambiente utilizzando solo delle informazioni geometriche? Lascio a voi il piacere di leggere l'articolo, ma la risposta che si può anticipare è sì! Ma noi acquariofili questo lo sapevamo già.

Partito

È da molto che ci pensavo. Non so bene neppure cosa si scrive su un blog, ma spero piano piano di capirlo. A presto.