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lunedì 31 agosto 2009

Crolla un mito


Coppia di Pelvicachromis taeniatus "Moliwe", una popolazione diffusa nel Camerun occidentale.
Fotografia di Jérôme Scuiller.


L'estate ciclidofila ribolle di novità (specie nuove del Lago Malawi, articoli sulla radiazione dei ciclidi del lago Tanganica) ed io cosa faccio? Curioso qua e là. Il curiosare a caso spesso mi offre grande soddisfazione, spesso più della ricerca sistematica delle notizie.
Pensate ad un numero, cioè volevo dire, pensate ad un ciclide monogamo. Boulengerochromis microlepis? In effetti è un ciclide monogamo, ma io penso a qualcosa di più acquariofilo. Eretmodus cyanostictus? Questo è un ciclide monogamo e discretamente diffuso negli acquari, ma io guardo all'Africa occidentale. Pelvicachromis? Bravi avete indovinato, in particolare penso a Pelvicachromis taeniatus, una specie che sia in acquario che in natura è monogama o perlomeno sembra. Quando si parla di monogamia nei ciclidi non si deve intendere una relazione duratura, nei animali basta che la relazione duri esclusivamente per una stagione riproduttiva perché si possa parlare di monogamia. Pelvicachromis taeniatus forma legami stabili con i due sessi che si dividono alla pari, o quasi, i duri compiti di accudimento della prole. Il recente sospetto è che anche i Pelvicachromis taeniatus non siano così fedeli come sembrano. Infatti i maschi di questa specie producono gli spermatozoi più lunghi tra tutti i ciclidi: 70 micrometri. Il precedente record era stabilito da Telmatochromis vittatus che però produce spermi lunghi la metà. Per qual motivo Pelvicachromis taeniatus deve investire così tanto negli spermatozoi? Una risposta certa non esiste per ora; tentiamone una dando una veloce panoramica agli animali che producono spermatozoi giganti. Il record mondiale è per ora detenuto da un moscerino (Drosophila bifurca) che ha spermatozoi di 5,8 cm. Date le enormi dimensioni degli spermatozoi un maschio di D. bifurca non può che generare poche centinaia di tali cellule in tutta la sua vita. I vantaggi di produrre spermi enormi sembrano essere molteplici. In alcune specie gli spermatozoi giganti sono più veloci di quelli piccoli. In altre gli spermatozoi giganti sembrano combattere tra loro, ma non è ancora chiaro se combattano veramente o semplicemente si scontrino durante gli spostamenti; in altre specie ancora gli spermatozoi giganti bloccano il condotto dell'apparato genitale femminile in modo che la femmina infedele non possa godere di spermatozoi di altri maschi. In Pelvicachromis taeniatus gli spermatozoi giganti possono sembrare una stranezza visto il regime di monogamia stretta della specie, ma scommettete che forse tanto monogami questi ciclidi non sono? L'esistenza degli spermi giganti troverebbe una spiegazione se in questa specie si osservassero dei maschi "sneakers", i maschi che durante gli accoppiamenti si introducono di soppiatto per cercare di fecondare qualche uovo. Gli spermatozoi giganti, infatti, impedirebbero agli spermi più piccoli di fecondare le uova, ma purtroppo nessuno ha ancora osservato maschi sneaker in questa specie.
Le sorprese con Pelvicachromis taeniatus non sono finite qui, ma vista l'ora non rimane che darci appuntamento al prossimo post.

Thünken T., Bakker T. C. M., Kullmann H.. 2007.
Extraordinarily long sperm in the socially monogamous cichlid fish Pelvicachromis taeniatus. Naturwissenschaften, 94: 489-491.

domenica 16 agosto 2009

Chiuso per calura


L'afosa calura estiva mi rende impossibile qualcunque attività e produrre un wordle è stata un'impresa quasi aldilà della mia attuale residua attività neuronale. Osservando il wordle noto che come mio solito il concetto di specie è saldamente al centro del blog. Le idee per i prossimi post non mancano (domesticazione, convergenze evolutive, cure parentali...), ma temo che ci sia bisogno di un paio di gradi centigradi in meno perché vedano la luce. Nel frattempo il maschio di Altolamprologus sp. "compressiceps shell Ujij" sta corteggiando spietatamente una femmina apatica nonostante i 31°C dell'acqua (ogni cambio d'acqua è vano). Contento lui...

giovedì 13 agosto 2009

L'alga "assassina"

Il recente (s)parlare di alga assassina sui media mi ha spinto a rispolverare un libro che lessi qualche anno fa. Vi propongo perciò una breve recensione.



Sono là fuori, stanno avanzando. Sono ostili. Nulla li ferma, sono invincibili. Non si tratta di una finzione di Orson Welles, gli invasori esistono. Sono le specie aliene ed invasive, organismi che per scherzo del destino o per deliberata azione sono stati immessi in un territorio che non li vedeva presenti. Una volta insediatisi gli alieni sono in grado di riprodursi in modo incontrollato; non esistono, infatti, competitori efficienti o predatori specializzati in grado di contrastarli. È il caso di Caulerpa taxifolia, un'alga verde tropicale recentemente comparsa nel Mar Mediterraneo. A detta dell'autore, il noto ficologo (si chiamano così gli studiosi di alghe) Prof. Alexandre Meisnez, i primi esemplari di quest'alga sono stati gettati in mare dalle finestre del Museo Oceanografico di Monaco durante la manutenzione delle vasche. In acquari ben funzionanti alghe di questo genere tendono ad occupare tutto lo spazio disponibile e periodicamente devono essere sfoltite per non mettere a rischio l'equilibrio dell'ecosistema artificiale. Il fatto di essere tropicali tuttavia dovrebbe impedirne la sopravvivenza in un mare temperato. Oppure il cosiddetto mare temperato, tanto temperato non lo è più?
Alga invasiva e pure "assassina"! Numerosi rappresentanti del genere Caulerpa, infatti, producono tossine, anche mortali. Non deve stupire la presenza di composti tossici, si tratta di una delle innumerevoli strategie difensive messe in atto da alghe e vegetali in genere. È raro tuttavia che l'uccisione sia diretta perché gli animali imparano in fretta ad evitarla, un po' come le mucche che in un prato sanno cosa mangiare e cosa no. Quindi che male c'è in una "nuova" specie che colonizza il Mediterraneo? Nessuno, se non fosse che soffoca le foreste della fanerogama simbolo del Mare Nostrum, la Posidonia, uno degli ultimi ambienti più biodiversi del Mediterraneo. Nessuno, se non fosse che ricopre pareti dove vivono una fauna ed una flora marina ampie e diversificate. Nessuno, se non fosse che la maggior parte degli animali la evitano. Queste sono le denunce del Professor Meisnez che per primo ha sollevato la controversa questione Caulerpa. Lanciato il sasso nasce la disputa che procede secondo uno schema collaudato (avete presente il meccanismo messo in atto dalle case produttrici di tabacco quando si iniziò a parlare del rapporto sigarette-tumore al polmone?). L'alga c'è, ma non c'è. La sua avanzata, infatti, non è stata notata subito. Se c'è significa che è originaria del Mediterraneo. Qualcuno, infatti, ha affermato che l'alga misteriosa era una specie risvegliatasi da una sorta di lungo letargo. Anche se è tropicale che influsso negativo volete che abbia? Oltre alle varie incertezze scientifiche aggiungete la proverbiale lentezza burocratica della macchina statale, un aspetto che non sembra essere solo italiano, e si ottiene che quando si grida "Al lupo" la reazione non arriva.
Il "Caulerpa affair" ha vari piani di lettura. Un'alga tropicale, un'autorevole istituzione scientifica, il rimpallo delle responsabilità et voilà, il gioco è fatto. Televisioni, giornali, riviste avranno di che rimestare dando spesso la parola a certi esperti del settore che cavalcheranno l'onda per divulgare i risultati delle proprie ricerche (convinzioni o preconcetti in alcuni casi?) senza lasciare possibilità di replica agli oppositori. Le tivù, la radio e, perché no, internet raggiungono un numero enorme di persone, inimmaginabile anche per le più autorevoli riviste scientifiche. Non importa che le fonti non siano controllate, un controllo serio richiede tempo e competenza che ben pochi si possono permettere.
Manca la ciliegina sulla torta, l'aspetto che più turba l'acquariofilo che è in me. Gli studi genetici hanno identificato l'origine della Caulerpa invasiva: è lo stesso ceppo presente negli acquari domestici di tutto il mondo. È quasi come essere complici, anche se involontari, di un assassinio.
Rivisto a qualche anno di distanza dalla pubblicazione, l'edizione francese è del 1997, mentre quella italiana è del 2001, il volume mi ispira uno strano sentimento di tenerezza che stride con lo sdegno che mi procurò al tempo; allora mai avrei immaginato che i pesci pappagallo avrebbero scambiato l'arcipelago Toscano per un mare tropicale oppure che i barracuda sarebbero diventati protagonisti dello spinning contemporaneo in Mediterraneo. L'alga assassina è la punta mediatica di una trasformazione globale che procede inesorabile nell'omogeneizzazione ambientale. Già sulla terraferma a volte non sai se si trovi a Singapore, Milano, Londra, Washington. Il paesaggio è lo stesso dapperttutto: un po' di robinia, ailanto, qualche betulla. Ora anche l'ambiente sommerso per quanto possibile si sta adeguando: i tropici a casa tua o casa tua come i tropici. Che differenza c'è?


Alexandre Meinesz. L'alga assassina. Caulerpa taxifolia: un attentato alla biodiversità del Mediterraneo. Bollati Boringhieri, p. 285, € 24.79.

martedì 11 agosto 2009

Mating system: cambiare strategia a seconda delle circostanze

Un maschio di Ctenochromis horei.
Fotografia di Philippe Burnel.


Noi umani permeati di essenzialismo fino al midollo cerchiamo di incasellare nelle nostre categorie mentali i comportamenti degli altri esseri viventi e se i conti non tornano tendiamo a ritenerle deviazioni, aberrazioni. Si pensi alle strategie riproduttive che in una specie possono essere molto diversificate a seconda della densità di una popolazione, del rapporto tra i sessi, della fecondità e del comportamento con cui si sceglie il partner. Ne deriva che può risultare impossibile definire in modo univoco il comportamento riproduttivo di una specie. Rimanendo nell'ambito dei ciclidi e nello specifico dei Ciclidi del Lago Tanganica, Neolamprologus tetracanthus per esempio mostra un comportamento haremico con conseguente cura parentale esclusivamente femminile nelle popolazioni meridionali, mentre in quelle settentrionali instaura legami monogami che costringono entambi i sessi a collaborare nella cura della prole. Da tempo è noto che ad influire sul sistema riproduttivo dei ciclidi che depongono su substrato è soprattutto la pressione predatoria che quando si allenta libera il maschio dalle cure parentali permettendogli di andarsene alla ricerca di altri partner. Questo avviene perché l'investimento maschile, quella manciata di spermatozoi rilasciata durante l'accoppiamento, è poca cosa in confronto alla massa di uova prodotte dalle femmine. Stranamente i fattori che influiscono sugli incubatori orali sono poco conosciuti. Curioso se si valuta che la maggior parte dei ciclidi che compono gli species flock dei Grandi Laghi africani appartiene a tale categoria.


Una coppia di Ctenochromis horei durante la deposizione delle uova.
Fotografia di Philippe Burnel.

Per tentare di iniziare a colmare tale lacuna un recente studio ha investigato la variabilità del sistema riproduttivo di Ctenochromis horei, un ciclide del lago Tanganica che frequenta le aree costiere superficiali da 1 a 4 metri di profondità. Fino ad ora le conoscenze sul sistema riproduttivo di questo ciclide erano limitate ad osservazioni risalenti ai primi anni '90. Secondo quanto riportato le popolazioni settentrionali di Ctenochromis horei si riproducono lungo tutto l'anno mostrando una rigida scala gerarchica che permette quasi esclusivamente la riproduzione al maschio dominante. Il nuovo studio invece ha avuto come oggetto una popolazione meridionale ed ha riservato alcune sorprese. In questa piccola popolazione (è stato investigato un territorio di 200 metri quadrati) i maschi che hanno avuto la possibilità di riprodursi erano diversi. Alcuni erano maschi "parassiti" (sneakers: maschi che durante l'accoppiamento si introfulano tra la coppia per espellere degli spermatozoi sulle uova) ed il loro numero si è rivelato superiore a quanto atteso. Inoltre il numero di maschi parassiti sembra essere più elevato al termine della stagione delle piogge quando l'acqua è più torbida e più favorevole all'avvicinamento di un maschio parassita ad una coppia in amore. È proprio vero che le tenebre favoriscono comportamenti "licenziosi"!
Ancora una volta i ciclidi si dimostrano meravigliosamente plastici, anche quando si tratta di una specie la cui cura della prole non dimostra variazioni, che si riproduce tutto l'anno tra l'altro in un ambiente ritenuto relativamente stabile quale può essere uno dei più grandi laghi tropicali al mondo. Stabilite voi ora qual è l'essenza di questo ciclide.

Sefc K. M., Hermann C. M., Koblmüller S. 2009. Mating system variability in a mouthbrooding cichlid fish from a tropical lake. Molecular Ecology. 18: 3508-3517.


PS: questo è un post rigorosamente di speculazione scientifica ed ogni riferimento alla filosofia è da ritenersi puramente accidentale dato che ho abbandonato tale disciplina al termine del liceo.

PPS: ringrazio Philippe Burnel per aver condiviso le sue fotografie di Ctenochromis horei.

lunedì 10 agosto 2009

Enigmatochromis lucanusi. Una nuova specie dall'altra Africa

Giovane coppia di Enigmatochromis lucanusi.
Fotografia di Jérôme Scuiller.

Noi ciclidofili siamo talmente concentrati sui Ciclidi dei Grandi Laghi africani che spesso ci dimentichiamo dell'altra Africa, l'Africa occidentale. Per fortuna c'è chi lavora per noi! Anche lì abbondano le scoperte.
Anton Lamboj ha eretto il nuovo genere Enigmatochromis per una specie di Chromidotilapino proveniente dalla Guinea che in acquariofilia è conosciuta dal 2004 sotto il nome di Pelvicachromis sp. "Blue Fin". Enigmatochromis lucanusi, questo il nome, si contraddistingue per l'insolita colorazione blu della pinna dorsale della femmina. Prima di procedere ringrazio Jérôme Scuiller che con entusiasmo ha messo a disposizione le fotografie di questa specie ancora poco diffusa tra gli appassionati.


Enigmatochromis lucanusi n. sp.

Diagnosi Enigmatochromis si distingue dagli altri generi di Chromidotilapini per una combinazione unica di caratteri tra cui si evidenziano le 12 scaglie sul peduncolo caudale, la linea laterale nettamente separata dalla base della pinna dorsale e una serie di ossa infraorbitali con il lacrimale e tre tubulari addizionali. Il nome Enigmatochromis si deve alla presenza di caratteristiche intermedie tra i generi Pelvicachromis e Parananochromis.

Colorazione e morfologia Il corpo è nettamente allungato. Le pinne impari del maschio mancano di marcature tranne nella pinna dorsale che riporta alcuni spot neri nella porzione posteriore. Sempre nei maschi la pinna caudale, da biancastra a gialla, mostra delle macchie ocellate. Le femmine possono presentare uno o due spot sulla pinna dorsale.


Femmina di Enigmatochromis lucanusi.
Fotografia di Jérôme Scuiller.

Maschio di Enigmatochromis lucanusi.
Fotografia di Jérôme Scuiller.


Distribuzione Per quanto conosciuto fino ad ora Enigmatochromis lucanusi è diffuso unicamente nel fiume Foto, un piccolo corso d'acqua di savana che scorre nei pressi della città mineraria di Fria lungo la costa della Guinea a nord di Konacry.

Habitat ed ecologia Il fiume Foto è ampio dai 3 ai 6 metri e durante la stagione secca è profondo dai 30 ai 90 cm. I parametri chimico-fisici dell'acqua rilevati durante la stagione secca (Febbraio 2006) sono: durezza totale 0, durezza carbonatica 0, pH 5.8, temperatura 24 °C. Il fondo del fiume è costituito da ghiaia fine e nei punti dove penetra la luce accoglie densi ammassi di Vallisneria sp. Le ripe sono ricoperte da Anubias lanceolata mentre i massi e gli alberi caduti in acqua sono ricoperti da felci e in particolar modo da Bolbitis heudelotii. L'unico altro ciclide presente insieme a E. lucanusi è Pelvicachromis humilis.

Comportamento In acquario E. lucanusi forma legami di coppia e depone su substrato in cavità e come in molte altre specie del gruppo dei Chromidotilapinii la femmina mostra cure parentali più intense. Durante la riproduzione il maschio mostra l'usuale banda longitudinale scura che a differenza delle specie di Pelvicachromis, Congochromis e Parananochromis è sfumata o assente nella femmina.

Note La specie è dedicata a Oliver Lucanus che nel 2004 ha ricevuto i primi esemplari ed ha fornito indicazioni sull'ambiente della specie. Inizialmente la specie è stata ritenuta molto simile a Pelvicachromis roloffi, tuttavia E. lucanusi non può essere ritenuto un Pelvicachromis per la presenza di 12 scaglie sul peduncolo caudale (usualmente il genere Pelvicachromis ha 16 scaglie sul peduncolo caudale). Il genere con cui Enigmatochromis ha maggiori somiglianze morfologiche è Parananochromis da cui si distingue tuttavia per distribuzione geografica, notevole dicromatismo sessuale, livrea giovanile (3-4 file di punti scuri contro 2), assenza di banda longitudinale scura nelle femmine durante le cure parentali e infine per i risultati preliminari delle analisi molecolari che lo avvicinano nuovamente a Pelvicachromis.

Femmina di Enigmatochromis lucanusi.
Fotografia di Jérôme Scuiller.

Lamboj A. 2009. A new dwarf cichlid genus and species (Teleostei, Cichlidae) from Guinea, West Africa. Zootaxa 2173: 41-48.

venerdì 7 agosto 2009

Torbiere d'Irlanda


Nelle due settimane di vacanza in Irlanda ho avuto modo di osservare e visitare le torbiere. Se qualcuno volesse conoscere meglio questo ambiente consiglio di scaricare il volume della serie Quaderni Habitat dedicato alle torbiere montane edita dal Ministero dell'Ambiente o di dare un'occhiata a wikipedia per una presentazione generale (qui e qui). Ho potuto quindi osservare massicce fioriture di erioforo (Eriophorum angustifolium, Common cotton-grass il nome comune inglese) e vaste distese di drosera (Drosera rotundifolia, round-leaved sundew in inglese). Qualcuno che ha maggiore familiarità con l'ambiente irlandese liquiderà queste due piante come specie molto comuni, ma io trovo che la relativa diffusione che le caratterizza non mina il loro valore conservazionistico.

Eriophorum angustifolium, in torbiera irlandese





Drosera rotundifolia, in torbiera irlandese.

Termino questo succinto report con una piccola nota. A causa dell''inquinamento la drosera rischia di perdere la caratteristica che più la contraddistingue: una pianta carnivora può, infatti, smettere di essere carnivora. La carnivoria è una strategia che risponde alla cronica mancanza di azoto tipica di certi ambienti che viene sopperito attraverso la cattura di insetti. L'essere carnivori richiede tuttavia energia che viene sottratta alla crescita delle foglie e delle radici. E qui sta l'inghippo. Nei periodi di "vacche grasse" le piante carnivore si dedicano a condurre una vita che potremmo considerare più tradizionale per una pianta (produrre massicce quantità di clorofilla, sviluppare foglie che fotosintetizzino efficacemente e radici che ancorino saldamente al terreno) dismettendo tutto il necessario per catturare e digerire una manciata di incauti invertebrati. Attualmente la maggior parte delle torbiere soffre di eccesso di azoto dovuto alla fertilizzazione dei campi coltivati e le piante carnivore cercano di adattarsi alle nuove condizioni. Se fossi un insetto probabilmente tirerei un sospiro di sollievo, da essere umano innamorato della diversità della vita invece temo di perdere l'opportunità di continuare ad osservare uno stile di vita che dura da oltre 125 milioni di anni.

Tornando a pensieri più ameni vi avviso che su youtube ho inaugurato il canale Mahengechromis (magari verrà utile prossimamente). Il battesimo è avvenuto con un video di una rigogliosa fioritura di erioforo ripresa in una delle torbiere che ho visitato. Buona visione.




lunedì 3 agosto 2009

Una nuova specie di Australoheros: A. taura

Ormai le specie del genere Australoheros spuntano come funghi (ne avevo parlato qui) e con quella di oggi sono ben 19 le specie descritte (A. autrani, A. barbarosae, A. charrua, A. facetus, A. forquilha, A. guarani, A. ipatinguensis, A. kaaygua, A. macacuensis, A. macaensis, A. minuano, A. muriae, A. paraibae, A. ribeirae, A. robustus, A. saquarema, A. scitulus, A. taura, A. tembe). Le forme ancora prive di descrizione o non riconducibili ad un'altre specie sono un numero imprecisato e qui ne cito solo alcune: A. sp. "Local", A. sp. "Red Ceibal", A. sp. "Rubio Chico", A. cf. facetus "Rocha", A. sp. "Red Cuaro", A. cf. scitulus "Arapey", A. sp. "Mansavillagra", A. sp. "Jacuí" (una forma che vive nello stesso bacino di A. taura).
Ricordo che la revisione tassonomica del genere pubblicata nel 2008 è avvenuta senza che si procedesse ad una comparazione con le specie brasiliane descritte in precedenza; nel caso che qualcuna delle "nuove specie" cadesse in sinonimia con un'altra si avrebbe una situazione abbastanza confusa. Permettemi una confessione: mi sto convincendo che alcune descrizioni sono basate su differenze troppo lievi, che potrebbero ricadere nella variabilità intraspecifica. Un esempio è la colorazione. Chi ha allevato Australoheros sa come questi ciclidi possono cambiare colorazione a seconda dell'umore o della fase. La sensazione è che che si stia splittando eccessivamente.


Australoheros taura
n. sp.

Diagnosi ed identificazione All'interno del genere A. taura è la specie con il muso più lungo. Caratteristiche visibili che possono aiutare nell'identificazione della specie sono la colorazione rossastra dei maschi, l'assenza di disegni laterali sulla testa e la presenza di uno spot di ridotte dimensioni sul peduncolo caudale.

Distribuzione Bacino superiore del Rio Antas, bacino rio Jacuí, sistema della laguna di Patos, Rio Grande del Sud.

Habitat ed ecologia Australoheros taura è stato raccolto in piccoli fiumi poco profondi con acqua chiara e moderatamente corrente (sono presenti delle rapide). La vegetazione è limitata prevalentemente alla fascia di ripa. Il fondo è cosparso di rocce e ciottoli. Durante l'inverno la temperatura dell'aria può scendere sotto gli 0°C.


Ottoni F. P., Cheffe M. M. 2009. A new species of Australoheros from the upper rio das Antas, laguna dos Patos System, southern Brazil. Spixiana. 32 (1): 153-159.

Un appello

Le vacanze mi hanno distratto da una importante battaglia culturale e seppure in ritardo mi ci metto anch'io. Salviamo il Museo di Storia Naturale di Milano. Firmiamo numerosi.


Sign for Aiutaci a salvare il Museo di Storia Naturale di Milano