L'amico Stefano Valdesalici è tornato da poco dallo Zambia dove ha potuto bagnarsi nelle acque del lago Tanganica e soprattutto scoprire una nuove specie di Nothobranchius. Complimenti.
mercoledì 24 febbraio 2010
mercoledì 17 febbraio 2010
Ciclidi dal deserto
© Lee Ann- AfricanCichlids.net
Astatotilapia desfontainii è l'unico haplochromino presente a nord ovest del Sahara. Negli anni '90 si conoscevano ben cinque popolazioni di questo ciclide localizzate nelle regioni meridionali della Tunisia e dell'Algeria; attualmente si sono ridotte ad una sola sita a Tozeur in Tunisia, in una sorgente irrigimentata dall'uomo a fini di irrigazione. Tutti gli altri haplochromini sono diffusi nell'Africa sub-sahariana. Che ci fa quindi un haplochromino in un deserto, a tale distanza dal resto delle specie affini? Era già presente prima della desertificazione iniziata circa 6-7 milioni di anni fa oppure ha colonizzato il Sahara in una delle fasi umide che si sono succedute in seguito?
Uno studio recente (Genner e Haesler, 2010) cerca di chiarire la situazione e identifica A. desfontainii come una specie appartenente al gruppo degli haplochromini moderni (quelli che hanno colonizzato il lago Vittoria per capirsi), ma dall'origine relativamente antica che può risalire al Pliocene. I dati raccolti sembrano quindi attualmente negare la possibilità di una colonizzazione successiva al Pliocene, ma la scoperta di nuove popolazioni da campionare potrebbe ribaltare le conclusioni.
Uno studio recente (Genner e Haesler, 2010) cerca di chiarire la situazione e identifica A. desfontainii come una specie appartenente al gruppo degli haplochromini moderni (quelli che hanno colonizzato il lago Vittoria per capirsi), ma dall'origine relativamente antica che può risalire al Pliocene. I dati raccolti sembrano quindi attualmente negare la possibilità di una colonizzazione successiva al Pliocene, ma la scoperta di nuove popolazioni da campionare potrebbe ribaltare le conclusioni.

© Lee Ann- AfricanCichlids.net
Genner M. J e Haesler M. P. 2010. Pliocene isolation of a north-west Saharan cichlid fish. Journal of Fish Biology. 76(2): 435 - 441.
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martedì 16 febbraio 2010
Verso nuove terre: abbandoniamo la radiazione adattativa

Disegno di Mark E. Olson
Annunciare un assassinio non è da tutti, bisogna ammetterlo. In particolare consigliare di farla finita con una metafora potente come la radiazione adattativa richiede una dose di coraggio non comune. Tutti, infatti, ritengono che la radiazione adattativa sia uno dei fattori chiave nella diversificazione della vita, ma nessuno sa bene cosa sia. La radiazione adattativa è infatti quel (quei?) processo evolutivo che conduce alla formazione di specie imparentate tra loro più o meno streetamente, ognuna delle quali finisce per specializzarsi in una particolare nicchia generalmente trofica. Entrare maggiormente nello specifico diventa arduo. Lo suggerisce un recente articolo di Mark E. Olson e Alfonso Arroyo-Santos che dimostra come ogni aspetto della radiazione adattativa sfugga ad una definizione precisa. Quando si parla di radiazioni adattative si riferisce per esempio di speciazioni molto rapide, ma rapido cosa significa? Anche il termine adattativo è vago. Adattativo vs tutto ciò che non lo é? Inoltre quando si parla di radiazione adattativa si parla di ciclidi, fringuelli di Darwin, di lucertole pygopodidi australiani, ma ha senso comparare organismi tanto diversi?
Gli autori ritengono che la radiazione adattativa non esista, che sia tutto nella nostra testa. Quando un insieme di eventi di speciazione può essere etichettato come radiazione adattativa? Quando supera un certo numero? E che numero? Si presume che le radiazioni adattative producano un numero molto grande di specie, in particolare più specie del proprio sister group (gruppo fratello). Per poter senza equivoci stabilire che si tratti di radiazione adattativa si fissa una soglia. Ma questo è del tutto arbitrario. Con la radiazione adattativa gli uomini cercano di dare corpo (reificare) un fenomeno che alla pari di tanti fenomeni biologici non ha valore discreto, ma continuo.
L'argomento è decisamente provocatorio. Abbandonare il concetto di radiazione adattativa significherebbe ripensare l'approccio a molti gruppi di specie che sono oggetto privilegiato della biologia degli ultimi anni e si sono già sollevate obiezioni; leggete per esempio questo post (è solo una mia impressione che in questa critica l'articolo di Olson e al. sia stato travisato?).
Mi permetto un'unico commento che riguarda la reificazione in biologia. Non tutti i fenomeni in biologia sono continui. Le specie per esempio sono reali, esistono anche al di fuori della nostra percezione e sono entità discrete perché esistono processi che ne mantengono la coesione. Purtroppo questo non sembra essere applicabile alla radiazione adattativa.
L'argomento è decisamente provocatorio. Abbandonare il concetto di radiazione adattativa significherebbe ripensare l'approccio a molti gruppi di specie che sono oggetto privilegiato della biologia degli ultimi anni e si sono già sollevate obiezioni; leggete per esempio questo post (è solo una mia impressione che in questa critica l'articolo di Olson e al. sia stato travisato?).
Mi permetto un'unico commento che riguarda la reificazione in biologia. Non tutti i fenomeni in biologia sono continui. Le specie per esempio sono reali, esistono anche al di fuori della nostra percezione e sono entità discrete perché esistono processi che ne mantengono la coesione. Purtroppo questo non sembra essere applicabile alla radiazione adattativa.
Ringrazio Mark E. Olson per avermi spedito l'articolo, per avere generosamente fornito il disegno di apertura di questo post e soprattutto per avere sostenuto l'appassionata discussione, e le mie numerose mail, nata intorno alla radiazione adattativa. Grazie ancora.
Olson M. E., Arroyo-Santos A. 2009. Thinking in continua: beyond the adaptive radiation metaphor. BioEssays 31(12): 1337-1346.
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sabato 13 febbraio 2010
Primo giorno
Man mano che il ventre della femmina di Thorichthys affinis si ingrossava, le papille genitali della coppia diventavano sempre più evidenti ed iniziava l'attività di scavo. Un paio di sassi affondati nella sabbia fine del fondo sono stati riportati alla luce, mentre un altro è stato totalmente ricoperto. Dopo un intero giorno fuori casa ho avuto la sorpresa di trovare circa un centinaio di uova su un piccolo sasso. Curiosamente tra le uova si trova anche molto sedimento (la fotografia non riesce a mostrarlo) che penso sia stato buttato dalla femmina per mimetizzare il tutto. Il maschio si tiene perlopiù in disparte. Speriamo che alla schiusa faccia la sua parte nella difesa della prole.
venerdì 12 febbraio 2010
Tanti auguri Mr. Darwin
Buon Compleanno Mr. Darwin (201).
Per chi volesse rileggerlo, il post che ho dedicato al legame che unisce Darwin ed i ciclidi lo trovate qua.
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lunedì 8 febbraio 2010
Ultim'ora: il re d'aringhe

Regalecus glesne - Re d'aringhe
Wikimedia Commons
Wikimedia Commons
Interrompo la normale programmazione per una notizia sensazionale: è stato filmato un re d'aringhe (Regalecus glesne), una specie che con i suoi 17 metri è il pesce più lungo del mondo, e della cui biologia, data l'abitudine a frequentare l'ambiente abissale (generalmente dai 200 ai 1000 m di profondità), si conosce ben poco.
Qui potete guardare il filmato che rappresenta probabilmente la prima ripresa di questa specie in natura. Non si tratta di un ciclide, ma è un pesce che mi ha sempre attratto.
Qui potete guardare il filmato che rappresenta probabilmente la prima ripresa di questa specie in natura. Non si tratta di un ciclide, ma è un pesce che mi ha sempre attratto.
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domenica 7 febbraio 2010
Interazioni
Iniziano le prime interazioni serie tra Cryptoheros nanoluteus e Thorichthys affinis. È tutto un vibrare di parate ed un fremere di gole. Il maschio di nanoluteus, quando si trova a fronteggiare la coppia di affinis, mostra i primi cambiamenti di livrea: si ritira nell'angolo delle radici e scurisce in prossimità della testa. Nel frattempo il ventre della femmina di affinis cresce a vista d'occhio mentre la papilla genitale inizia a rendersi visibile. Siamo vicini alla deposizione? Tanto per non rimanere con le mani in mano stimolo la coppia con abbondanti cambi d'acqua.
sabato 6 febbraio 2010
Il senso di inferiorità
Per chi come me è cresciuto negli anni '80, il senso di inferiorità nei confronti degli acquariofili stranieri era palpabile. Si compravano riviste con articoli tradotti dal tedesco, si acquistavano accessori per l'acquario di marca tedesca o francese, si compravano libri scritti in altre lingue o al meglio tradotti, si partecipava a seminari dove l'ospite era lo straniero che aveva viaggiato ai tropici. Da allora di strada ne è stata percorsa e gli italiani hanno compreso che anche a loro è permesso viaggiare. A titolo di esempio ricordo alcuni amici che hanno "osato" esplorare i luoghi di cui avevamo sempre e solo letto: Francesco Zezza (Amazzonia e lago Malawi), Enrico Cattani (le località che ha visitato sono troppe per poter essere ricordate qui, mettetevi nei segnalibri il suo blog e ne vedrete delle belle), Leonardo Plinio Denti (lago Tanganica) ed Antonello Perino (Uruguay). Se dimentico qualcuno scusatemi. In questi giorni un gruppo di italiani sta esplorando l'Uruguay (Lorenzo Bardotti, il suo Apistoblog lo trovate nel mio blogroll o cliccando sul suo nome, e Marco La Volpe) e questo post è il mio augurio di buon viaggio!
Una serie di immagini di individui del genere Gymnogeophagus.
Ed una serie di Crenicichla.
PS: per coloro che avessero la malsana idea di chiedersi se il vostro ciclidofilo divagatore preferito abbia mai viaggiato all'estero alla ricerca di pesci sappiate che la risposta è no! Fino ad ora non ho ancora avuto il "grande" viaggio di iniziazione che ha marcato la vita di tanti naturalisti (ecco i miei idoli di riferimento: Alexander Von Humboldt, Charles Darwin, Ernst Haeckel) e la mia esperienza si è consumata prevalentemente nelle acque della bassa pianura bergamasca o milanese. A questo, ahimè, allude il titolo...
Tutte le fotografie sono di Lorenzo Bardotti e Marco La Volpe che ringrazio per la generosità dimostrata!

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giovedì 4 febbraio 2010
Firmiamo per il Darwin Day di Milano

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Ciclidi da copertina (aggiornamento di Conflitti)
Come nasce un cromosoma sessuale? Uno studio recente presentato in Science al quale avevo dedicato questo post cerca di portare luce sulla questione grazie ai ciclidi del lago Malawi. Ora lo studio è stato pubblicato ufficialmente e si è guadagnato la copertina della prestigiosa rivista Evolution. Se leggete l'articolo troverete alcune informazioni in più rispetto a quanto detto in precedenza, ma la sostanza non cambia. Qui posso semmai dare un inquadramento generale.
Noi mammiferi antropocentrici siamo abituati al fatto che il sesso di un individuo dipenda dalla presenza di due cromosomi: XX e sei femmina, XY e sei maschio. Nei pesci la situazione non è sempre così chiara dato che spesso la determinazione del sesso dipende dall'ambiente. È il caso degli Apistogramma dove ad alte temperature gli individui sono perlopiù maschi, mentre a basse temperature sono le femmine ad avere la maggioranza. Questo sembra valere anche per alcuni Tilapini come Oreochromis aureus e niloticus. Nel caso di Pelvicachromis pulcher invece è il pH a dettare il sesso: bassi valori favoriscono lo sviluppo dei maschi, alti valori favoriscono le femmine. In altri ciclidi, invece, in particolare centroamericani, ma si tratta probabilmente di un fenomeno di maggior respiro, è la taglia il fattore più importante: grandi dimensioni significa essere maschio, piccole dimensioni femmina. La taglia è comunque un aspetto dipendente dalle relazioni sociali ed in ultima analisi dalla situazione ormonale.
Ed i cromosomi sessuali? In molti casi c'è qualche evidenza che i cromosomi influenzino il sesso dei ciclidi, ma spesso non è possibile identificare chiaramente quali siano i cromosomi sessuali. Questo è il caso degli mbuna (i ciclidi tipici delle aree rocciose del lago Malawi) che sono stati investigati nello studio. La parte stupefacente dello studio non è solo il fatto che un particolare sistema di determinazione del sesso sia legato alla colorazione OB tipica delle femmine (rileggete il post precedente per ulteriori dettagli), ma anche che siano presenti almeno due sistemi differenti di determinazione del sesso. Uno è il tipico sistema XY dove il sesso eterogametico è quello maschile (Metriaclima, Aulonocara baenschi). uno invece è il sistema ZW dove il sesso che porta i cromosomi diversi è quello femminile (Labeotropheus, Metriaclima). Il tutto è complicato dal fatto che quando i due sistemi sono presenti nella stesso individuo il sistema ZW è dominante sull'altro. Confusi? Lo sono anch'io.
Noi mammiferi antropocentrici siamo abituati al fatto che il sesso di un individuo dipenda dalla presenza di due cromosomi: XX e sei femmina, XY e sei maschio. Nei pesci la situazione non è sempre così chiara dato che spesso la determinazione del sesso dipende dall'ambiente. È il caso degli Apistogramma dove ad alte temperature gli individui sono perlopiù maschi, mentre a basse temperature sono le femmine ad avere la maggioranza. Questo sembra valere anche per alcuni Tilapini come Oreochromis aureus e niloticus. Nel caso di Pelvicachromis pulcher invece è il pH a dettare il sesso: bassi valori favoriscono lo sviluppo dei maschi, alti valori favoriscono le femmine. In altri ciclidi, invece, in particolare centroamericani, ma si tratta probabilmente di un fenomeno di maggior respiro, è la taglia il fattore più importante: grandi dimensioni significa essere maschio, piccole dimensioni femmina. La taglia è comunque un aspetto dipendente dalle relazioni sociali ed in ultima analisi dalla situazione ormonale.
Ed i cromosomi sessuali? In molti casi c'è qualche evidenza che i cromosomi influenzino il sesso dei ciclidi, ma spesso non è possibile identificare chiaramente quali siano i cromosomi sessuali. Questo è il caso degli mbuna (i ciclidi tipici delle aree rocciose del lago Malawi) che sono stati investigati nello studio. La parte stupefacente dello studio non è solo il fatto che un particolare sistema di determinazione del sesso sia legato alla colorazione OB tipica delle femmine (rileggete il post precedente per ulteriori dettagli), ma anche che siano presenti almeno due sistemi differenti di determinazione del sesso. Uno è il tipico sistema XY dove il sesso eterogametico è quello maschile (Metriaclima, Aulonocara baenschi). uno invece è il sistema ZW dove il sesso che porta i cromosomi diversi è quello femminile (Labeotropheus, Metriaclima). Il tutto è complicato dal fatto che quando i due sistemi sono presenti nella stesso individuo il sistema ZW è dominante sull'altro. Confusi? Lo sono anch'io.
Nota tassonomica (due post di seguito con note di questo genere, un record). Ho utilizzato per rispetto degli autori e per non creare confusione nella lettura dell'articolo il nome generico Metriaclima, anche se credo che quello corretto sia Maylandia.
PS: in copertina è finito un bel maschio di Aulonocara baenschi di Nkhomo Reef, ma questi non è il ciclide più adatto per rappresentare l'articolo. Infatti nello studio questa specie ha il ruolo di outgroup. Un outgroup è un membro di un gruppo che ha lontane parentele con il gruppo stesso, in pratica è una specie che serve da "punto di riferimeno esterno" per tutte le altre specie. L'utilizzo di outgroup è una metodica standard nella definizione degli alberi filogenetici. Sorrido al pensiero che gli effetti della selezione sessuale che tra i ciclidi è così intensa, travalicano ormai il mondo acquatico finendo per influenzare anche quello dell'editoria. Cultura e natura!
Ser J. R., Roberts R. B. , Kocher T. D. 2010. Multiple interacting loci control sex determination in Lake Malawi Cichlid Fish. Evolution, 64(2): 486-501.
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